domenica 20 luglio 2014

Fibrosi Polmonare e Speleoterapia

Fonte immagine: archivio Di Spazio, Centro Climatico Predoi
La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia a eziologia ignota e andamento progressivo che danneggia progressivamente e irreversibilmente l’architettura del parenchima pneumonico; insorge con maggiore frequenza nei soggetti in età compresa fra 50 e 70 anni e colpisce il sesso maschile in misura maggiore.  L’esordio è subdolo e può limitarsi alla manifestazione di tosse secca persistente e non produttiva. All’auscultazione toracica si denotano tipici rumori patologici con suoni simili all’apertura lenta del velcro; sul piano ispettivo si può osservare ippocratismo digitale (dita di mani e piedi a bacchetta di tamburo) e la diagnosi viene effettuata con l’ausilio della tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) in contesti clinici specializzati. Sul piano terapeutico i farmaci utilizzati sono l’associazione combinata di N-acetilcisteina (NAC), aziatoprina e prednisone (tripla terapia) e di recente il Pirfenidone. Come migliorare la qualità della vita del Paziente con IPF? Attraverso una mirata Riabilitazione Polmonare in grado di mitigare l’intensità dei sintomi; i più diffusi programmi di riabilitazione prevedono il controllo del regime dietetico, l’esercizio fisico, la terapia occupazionale e l’attivazione del contesto psicosociale.
 Nel quadro di una valida pneumoprofilassi non deve essere trascurato l’effetto dello Speleoterapia Integrata (IST, Integrated Speleotherapy). La speleoterapia consiste nell’esposizione al microclima di cavità ipogee (bassa temperatura ed elevata umidità relativa) per migliorare la performance ventilatoria e può essere validamente integrata con altre forme di profilassi.




domenica 13 luglio 2014

Elettrosensibilità e approccio diagnostico

Fonte immagine: archivio Di Spazio, Centro Climatico Predoi
Le malattie ambientali come la sensibilità chimica multipla (MCS) e l'elettrosensibilità (EHS) sono in costante incremento nei paesi ad alto sviluppo tecnologico; chi ne soffre si trova molto spesso in una condizione di frustrante smarrimento per la mancanza di un iter diagnostico e clinico in grado di fronteggiare seriamente questa nuova emergenza. Sul piano diagnostico, un approccio intelligente e documentato da studi internazionali consiste nel somministrare al paziente un cosiddetto test di provocazione. Durante il monitoraggio della frequenza cardiaca (HRV, Heart Rate Variability), il soggetto viene esposto a una fonte elettromagnetica (per esempio la base di un cordless che genera 2,4 GHz) per qualche minuto; la variazione significativa del grafico relativo alla frequenza cardiaca mostra l'attivazione di una risposta da stress compatibile con la diagnosi da elettrosensibilità. In questo modo, ricorrendo a un dispositivo medicale validato in tutto il mondo dalla ricerca scientifica, si può intervenire seriamente per verificare (o meno) la presenza di una forma di ipersensibilità ambientale.

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